A Voghera Le Nuvole di Aristofane

Martedì 2 marzo 2010, ore 21 - Teatro Arlecchino di Voghera
LE NUVOLE di Aristofane, traduzione di Letizia Russo - Regia Antonio Latella
con Marco Cacciola, Annibale Pavone,Maurizio Rippa, Massimiliano Speziani.
Scene e costumi Annalisa Zaccheriasuono e musiche Franco Visioliideazione luci Giorgio Cervesi Ripa
LO SPETTACOLO: Il Teatro Stabile dell’Umbria mette in scena Le nuvole di Aristofane, con la traduzione della giovane e originale autrice teatrale Letizia Russo, per la regia di Antonio Latella.
Un testo dell’antica drammaturgia greca che oggi appare come una delle più riuscite di Aristofane per la capacità di trasferire situazioni contingenti in una dimensione universale, eternando il perenne conflitto delle generazioni ed il problema di una società che ha smarrito il senso del giusto, temi trattati da Aristofane col genio di una satira acuta.
La messinscena di Antonio Latella intende rendere pienamente la ricchezza e la versatilità di questa commedia di grande attualità.
NOTE DI REGIA«Le nuvole sono tutto e non sono niente,sono i nostri desideri e le nostre paure, le nostre gioie e i nostri orrori, e diventano tutto ciò che vogliamo ma non potranno mai essere, mai esistere, eppure sono indistruttibili, come i pensieri, le idee […].
Il giuoco del Teatro si moltiplica in questa commedia umana, la porta della conoscenza si è fatta minuscola, varcarla è impegnativo ma è dietro a quel cancello di velluto rosso che si imparano i trucchi della finzione, a bluffare sulla verità o a saperla riconoscere […].
Questa commedia antica non mette in scena un personaggio ma l’ICONA di un PERSONAGGIO, che ha nome SOCRATE e il luogo che lo ospita, il PENSATOIO, è il vero personaggio con il quale Strepsiade si deve confrontare: un luogo non luogo, uno spazio che ha porte da varcare ma non ha pareti, una stanza dove il Maestro può sospendersi nell’aria, lontano dalla banalità della forza di gravità; solo così può pensare, riflettere, creare, preparare discorsi giusti e ingiusti, un luogo dove l’inafferrabile diventa forma ma resta incomprensibile per il suo continuo mutare essenza. Il Pensatoio, vero protagonista che non è maschile né femminile, non può essere, come ironicamente Aristofane fa dire a Socrate, né pollastro né pollessa. […].
Agli attori il grande compito di coccolarci e di farci pensare, tra le pause di una risata. Un gioco buffo, semplice e pericoloso, come un tuffo nel vuoto; senza RETE.». Antonio Latella
ARISTOFANE. La funzione della satira nell’Atene del V secolo, così com’è – o dovrebbe essere - nell’Italia di oggi è guardare alla società con lo sguardo deformante dell’ironia, per coglierne vizi e difetti, risaltarne le deformazioni, denunciare gli abusi del potere.
Non era quello che oggi si direbbe un progressista Aristofane, semmai un conservatore, che guardava con sospetto alle novità, anche di pensiero, fosse pure Socrate a rappresentarle. Nutriva diffidenza nei confronti del grande filosofo, ne riprovava l’influsso sulla gioventù, spronata a un’indipendenza di giudizio, che gli appariva nefasta, ne lamentava la frequentazione con personaggi in sospetto di tirannide, come Crizia e Alcibiade, ma è lecito dubitare che ne abbia approvato la condanna a morte e, soprattutto, ci è consentito immaginare che dinanzi alla sua fine ne abbia riconosciuto la dirittura morale. Aristofane era, infatti, un conservatore, ma, non meno del filosofo, sollecito del bene comune, e, dunque, in grado di apprezzare la testimonianza di dignità estrema, lasciata da Socrate con la sua morte: in modo diverso, entrambi avevano avvertito il declino della loro città e cercato di contrastarlo. Aristofane, del resto, era uomo di vasta e raffinata cultura, capace di permettersi la volgarità senza essere volgare.
Sin qui la realtà storica, accertata o desunta. Ma c’è un altro piano, quello metaforico, per cui le commedie di Aristofane, non meno delle tragedie classiche, ci appaiono ancora oggi rappresentare debolezze e virtù, paure e speranze tutte umane.
Spogliato del contesto storico, messo da parte Socrate e la sua assimilazione, vera o presunta, ai sofisti, resta la condanna della manipolazione della verità, la satira delle arzigogolature linguistiche, dei ragionamenti sofistici, delle argomentazioni pretestuose, la denuncia dell’inclinazione al discorso truffaldino, la sopraffazione verbale come unica legge, capace di sovvertire il diritto basato sul patrimonio del comune buon senso. In breve, la critica all’affermazione della menzogna a scapito della verità. Bisogna interrogarli i classici perché tornino a parlarci, per confrontare il volto nostro di ieri con la faccia di oggi.

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