Sabato 2 aprile 2011, h. 21 - Teatro Giacometti di Novi Ligure


Trama: La guerra, durata 100 anni, ha tenuto lontani la bella Sofia e il prode cavalier Florville. Adesso che i due innamorati potrebbero finalmente coronare con il matrimonio il loro amore, improbabili personaggi e inverosimili vicende frappongono ostacoli al loro sentimento. Alla fine, come si conviene nelle fiabe, vissero felici e contenti. E non soltanto i due amanti...

5 commenti:

Francesco Parise ha detto...

La serata non è tra le migliori. Pioviggina, tira un’arietta ideale per scatenare la mia faringite cronica, mi viene voglia di caldo, tanto caldo. Penso, ma solo per un attimino, che avrei fatto meglio a passare la serata su un comodo divano, con un caminetto acceso, un bel film, un dito di brandy ben invecchiato… nooo… il brandy no! Sono astemio. Meglio una tisana al finocchio. Depura l’organismo.
Arrivo a Carezzano verso le 20,35 (con molto anticipo rispetto all’inizio della “recita”). Parcheggio a un centinaio di metri dalla Società Comunale, sede del teatrino.
Il paesino d’inverno è molto “tranquillo” (angosciosamente tranquillo).
Per fortuna in estate, invece, è vivace ed accogliente. Carezzano nei mesi estivi ha il merito di darsi molto da fare ad organizzare delle “iniziative d’interesse turistico e insieme culturale”, alcune delle quali più che apprezzabili, una su tutte “la notte bianca”.
Lodevole tradizione del paese è anche proporre, alle soglie della primavera, una mini-rassegna amatoriale di prosa che, garantiscono quelli della Pro Loco, è molto seguita dagli abitanti di Carezzano. Per quanto mi riguarda è la prima volta che ci vengo… o la seconda forse.
La rassegna prevede 4 spettacoli. Ad essere sinceri non rappresentano un grande appeal. Più o meno le solite cose: la compagnia della Bollino con un nuovo spettacolo (Natale al basilico in soffitta?), due opere di Domenico Bisio di Fresonara, e uno dei cavalli di battaglia della compagnia teatrale di Montemarzino, quella che fino a pochi mesi fa era stata diretta dal compianto Vittorio Spoldi (antico POCHIANO, come me); tutto qua!
Li avevo seduti dietro di me, quelli di Montemarzino. Durante lo spettacolo avrebbero poi snocciolato timidi, ma arguti giudizi su quello che stavano vedendo.
Entro in teatro, pago il biglietto (7 euro… forse un tantino caro). La mia voglia di calore s’infrange contro la comunicazione della presentatrice (la Narcisa Ciccotti, attrice per diletto pure lei) che dice, tra un sorrisetto e l’altro: “Sono affranta ma il riscaldamento si è rotto” (il biglietto ora diventa enormemente caro), poi continua “Mi dispiace che stasera siate solo in quattro gatti, di solito la sala è stracolma” (contenti, quelli della compagnia, di sentirselo dire). E poi ancora “Stasera assisterete ad uno spettacolo di Claudio Bisio”, che palle dico io, lo Zelig è sbarcato anche a Carezzano, poi si corregge: “Scusate, sarà il freddo, volevo dire Domenico Bisio di Fresonara, che presenta lo spettacolo FLORVILLE LA LANCIA DI CATRION”. Sollecita l’applauso e se ne va. Un senso di umido pervade la platea.
FLORVILLE LA LANCIA DI CATRION… indagando scopro che la commedia s’ispira alla farsa giocosa intitolata IL SIGNOR BRUSCHINO, un’opera di breve durata, di Gioachino Rossini (libretto di Giuseppe Maria Foppa).
La compagnia in scena si chiama IL CARRO DI TESPI (carenza di originalità, ma non importa).
Autore e regista: Domenico Bisio. Le scene e i costumi, sono della moglie: Elisabetta Siri.
Non siamo in tanti ad assistervi, ma neanche in pochi, coi tempi che corrono. Tutti infreddoliti, però. Contiamo nel calore che sapranno trasmettere gli attori.
Su ogni sedia non manca il foglio di sala. Lo leggo con attenzione… qualcosa non quadra… mi ci vuole qualche secondo di troppo per scoprire che il foglio non riguarda lo spettacolo della serata, ma quello che verrà in seguito, ad aprile. Una sorta di PROMO. Pittoresco! E dello spettacolo che andrà in scena cosa si sa? Chi preventivamente avesse consultato il mio blog (http://inventateatro.blogspot.com/) non si sarebbe trovato impreparato. (prima parte)

Francesco Parise ha detto...

(seconda parte) Lo spettacolo inizia (alle 21,25 più o meno).
Si apre il sipario e fa bella mostra di se una scenografia, che ricorda una piazzetta medievale. Non male. L’ha pensata e realizzata Elisabetta Siri; merita un “plauso”, anche per l’enorme passione che ci mette. Le soluzioni sceniche adottate sono elementari ma efficaci. Il clima, come dev’essere. è quello della fiaba.
Per la prima mezz’ora sulla scena pavoneggia Marco Porotto (Florville), recitazione stile marionetta, che principalmente si produce in 30 minuti di smorfie, smorfiettine e ammiccamenti vari, di battute sgranate, tirate tirate tirate, come si fa con la pasta per le lasagne. Sono stati 30 minuti che sembravano un’ora. Qualche volta mi è sembrato che Porotto (quante volte ci ho recitato insieme, secoli fa! A proposito POCHIANO anche lui), usasse le “pause teatrali” per raccogliere le idee o i contenuti del copione, ma forse… , anzi certamente, mi sbaglio.
Ripeto: 30 minuti equivalenti a 60.
La commedia comincia a delinearsi, finalmente. Ha molto della commedia plautina, trama elementare e comiche “allusioni”. In questo caso al “pene”; frequenti sono stati i momenti nei quali si è attuata l’equiparazione freudiana: lancia = pene (troppi, per al verità! E come si sa il troppo stroppia, modo di dire che è la libera traduzione della massima di Orazio Flacco: est modus in rebus ).
Capisco , fa scattare la risatina, lo si sa, come quando i comici parlano di sesso, di “escrementi”, di “gay” o di “corna”. Funziona! Facile no?
E difatti qualcuno ride di gusto, qualcuno sorride subdolamente imbarazzato, qualcuno non capisce un fico secco. C’è anche il solito marito un po’ avanti nell’età, stanco ed annoiato (il teatro uffa che barba), che si appisola per qualche minuto, nonostante le gomitate che ogni tanto gli rifila la moglie .
Dopo 40 minuti la commedia, scena dopo scena, rivela la sua costruzione drammaturgica. Più o meno già s’intuisce come andrà a finire, ma non importa, non è mica un thriller. Prima o poi arriverà il colpo di scena, di solito precede di qualche minuto la fine.
Gli attori li conosco tutti, tranne Toni Mangano (faccia di gomma… mi fa venire in mente The Mask).
In primis Daniela Rocchetta che interpreta Sofia, figlia di Gaudenzio. Peccato che faccia da molti anni, ormai, lo stesso personaggio: medesima voce stridente (al limite massimo dei decibel che un orecchio umano possa sopportare), numero limitato di opzioni espressive (meraviglia, delusione, rabbia, abbandono sessuale). Sono difetti , questi (non gravissimi però), di cui posso accorgemene solo io, che l’ho vista nascere “teatralmente” e di cui forse sono il “vero responsabile”; ecco perché mi permetto queste benevoli note iper-critiche nei suoi confronti. Daniela è un’attrice brillante come s’intendeva nel teatro post-bellico (vale a dire destinata a coprire sempre il ruolo di donna sciocca). Il suo personaggio si riduce quasi sempre alla “macchietta”, ma è di sicuro tra quelli che diverte di più il pubblico (e il pubblico ha sempre ragione). Comunque Daniela, in scena, è sempre attenta e non si risparmia mai in quanto ad impegno ed energia.
Gaudenzio, il padre di Sofia, è interpretato da Valter Nicoletta, lo stakanovista del teatro provinciale. Sta recitando in almeno 5 spettacoli contemporaneamente (ci posso scommettere). Lui in scena c’è e si vede, ma gli consiglierei, caldamente e affettuosamente, di prendersi una pausa di riflessione e di cercare di guarire dalla bulimia teatrale che lo affligge.
Comunque Valter costituisce l’emblema della’amatorialità (termine che non esiste ma che a me piace): amore per il teatro, massimo impegno disinteressato, umiltà e disponibilità totale.
Nuccia Fulco interpreta Filiberta la “locandiera”. Il suo modo di recitare è un po’ infantile, ma sul palco è sempre “simpaticamente pimpante”. Spero che prima o poi provi interesse a cimentarsi con personaggi di maggiore spessore (ma non sarà di certo il medico ad ordinarglielo).

Francesco Parise ha detto...

(terza parte)Pinuccia Oddone è Marianna (tutta panna), una serva. Marianna non ha una dimensione drammaturgica di elevato spessore. E’ quella che insinua, provoca e continua a mantenere vivo, per tutto lo spettacolo, il refrain della “lancia che allude al pene”. Appare un po’ rigida e legata nei movimenti. Per rendere al meglio, probabilmente, avrebbe bisogno di sentirsi più “libera” di esprimersi. Che ci provi, allora, e che se ne freghi una volta tanto delle indicazioni restrittive del regista!
Gerardo Melucci (principe Bruschino) è il classico esempio dell’attore che “gode” a stare sul palco (buon per lui). Si diverte un mondo e si vede. Scoordinato più che mai, in difficoltà “meccanica” a pronunciare parole un po’ complesse, recita sempre come se fosse morso in continuazione da una tarantola, pertanto il suo corpo si muove senza controllo, la testa in un modo, le braccia e le gambe in un altro, come se fossero comandate da cervelli diversi ed in conflitto tra loro. E’ sempre molto “buffo” quando indossa un costume teatrale e per questo motivo non sfugge all’attenzione del pubblico, divertito dallo strano modo con il quale si propone sulla scena.
Ultimo Toni Mangano che interpreta ben 2 personaggi (Delegato e Bruschino figlio). Il suo modo di atteggiarsi è decisamente piacevole. Lo caratterizza il materiale gommoso di cui è costituita la faccia; è capace di spostare la bocca al posto delle orecchie e viceversa. Sul palco, però, ha il difetto di emarginarsi, quando non deve partecipare attivamente alla scena. Quindi come personaggio scompare e resta solamente Toni Mangano, che pensa a che ora dovrà andare a lavorare il giorno dopo o ad altre problematiche legate al quotidiano.
Per quanto riguarda il copione, non ho dubbi: Bisio è capace a scrivere (mi piacerebbe, però, che provasse a produrre qualcosa di più impegnativo, magari ispirandosi alle contraddizioni dei giorni nostri; ha da scegliere, farebbe ridere e piangere contemporaneamente).
Il repertorio di Domenico Bisio dovrebbe essere conosciuto maggiormente tra le compagnie amatoriali “leggere” della provincia, anzi sono sicuro che Domenico Bisio sarebbe anche disponibile a scrivere commedie in collaborazione con la compagnia stessa (un po’ come faceva un certo Shakespeare).
Per ultimo vorrei riservare il mio apprezzamento ai costumi di Elisabetta Siri, soprattutto all’originale fattura. Alcune rifiniture sono geniali.
Io, se fossi in lei, proverei a dare via libera alla creatività, ancora di più, senza farsi troppo condizionare dall’idea del periodo storico al quale fa riferimento la commedia. La fiaba non deve avere confini.
Lo spettacolo finisce alle 23 e 35. Gli attori appaiono schivi, quando escono per ricevere gli applausi, i quali risentono dell’umidità: si sono un po’ “ristretti”.
Il pubblico, però appare soddisfatto. Io fuggo via, come faccio di solito, senza salutare la compagnia. Sono lo stereotipo del maleducato e di questo chiedo venia. Per la fretta di uscire, non riesco a raccogliere i commenti di quelli di Montemarzino, peccato. Finalmente il marito si è svegliato e la moglie lo trascina fuori. Esco con loro. Lei dice: “Carino, non ti pare?”. Lui risponde muggendo: “Mmmmh”

Voto conclusivo: 6 e ½

Anonimo ha detto...

Bene ottima recensione, questa volta per l'attenzione posta si direbbe che non ti abbiamo indolenzito si a sonnecchiare...sarà stato per la fredda commedia o..per il freddo della sala? meglio, ne avessimo sempre critiche così!

Anonimo ha detto...

Bisio è sempre bravo ed è sempre un piacere assistere ad un suo spettacolo. Complimenti a Jerry Nuccia, Daniela:continuate a divertirvi e a farci divertire, non importa se (per QUALCUNO) avete la voce stridula, siete tarantolati o infantili.
con mucho cariño