Sabato 20 novenbre, h. 21 - Auditorium Santa Chiara di Casale M.


COMMEDIA IN 4 ATTI DI ANTON CECOV
Compagnia Teatrale Il Nodo di Brescia
Regia di Davide Cornacchione

LA TRAMA: l'opera parla di un'aristocratica russa e della sua famiglia al ritorno nella loro proprietà (che comprende anche un grande giardino dei ciliegi), in seguito messa all'asta per riuscire a pagare l'ipoteca. Principalmente la storia ruota intorno alle varie possibilità per conservare la tenuta ma la famiglia non si adopera in questo senso e alla fine è costretta a lasciare la proprietà; la scena finale mostra la famiglia che se ne va mentre il rumore degli alberi abbattuti fa da sottofondo. 
Sentivamo battere il cuore degli alberi prima di quello degli uomini (René Magritte).
“Il Giardino dei ciliegi: una commedia tutta da ridere.” Viene da chiedersi a che cosa stesse pensando Anton Cechov quando, durante la composizione del suo ultimo capolavoro, lo definiva così; eppure, rileggendo il testo alla luce di tale affermazione, ci si accorge di quanto una certa tradizione interpretativa abbia portato ad affrontare quest'opera in chiave esclusivamente tragica e malinconica, tralasciando una componente ironica che è invece marcatamente presente. Intendiamoci: nonostante Cechov in più occasioni abbia usato la definizione di 'vaudeville', non siamo certo di fronte ad un testo scritto nello stile delle commedie di Feydeau o Labiche, anzi, tuttavia in alcuni suoi appunti indirizzati agli attori si legge: “Siate più leggeri, più fluidi, più semplici, meno fatalistici, meno drammatici; siate anche più allegri, come nella vita. Ed anche nella mia indicazione tra le lacrime io volevo soltanto dire che tale era lo stato d'animo interiore del personaggio, non che piange. E' un modo di dire convenzionale.” La vita intesa quindi come un sottile equilibrio di dramma e di commedia, in cui ai profondi silenzi si alternano l'allegria ed il gioco. Lo struggente addio ad un'epoca che si sta chiudendo non è mai interpretato con rassegnazione o disperazione, ma al contrario la vita continua e va per questo vissuta fino in fondo. Il giardino dei ciliegi è infatti una fondamentale opera di passaggio: racconta della transizione dalla servitù della gleba nella Russia zarista verso una nuova società, in cui comincia a farsi avanti una forma embrionale di capitalismo. Un ordinamento radicato da secoli, che sembrava destinato ad essere immutabile, viene rapidamente sovvertito; tutto quanto appartiene al passato è destinato ad essere rimpiazzato e coloro che non sapranno adeguarsi a questo nuovo ordine verranno spazzati via. Ed i ciliegi stessi sono metafora di tutto questo: ogni ciliegio, dice nel secondo atto il giovane Trofimov, racchiude l’anima di un uomo, l’anima di uno di quegli schiavi che nel corso dei secoli hanno costituito le basi della Russia di fine ottocento e che sono ormai destinati a cadere sotto i colpi della scure. Ma vi è un altro motivo di passaggio non meno importante legato a questo testo: il Giardino dei ciliegi costituisce la più alta espressione del teatro borghese ottocentesco, ed allo stesso tempo ne decreta la fine per aprire a quel teatro dell'incomunicabilità e dell'assurdo che caratterizzerà il ventesimo secolo. Le pause, i cambi di registro, i “finti” dialoghi in cui tutti parlano, ma in realtà nessuno ascolta, costituiscono le fondamenta su cui si ergeranno i drammi di Beckett, Ionesco, Pinter, il cui debito nei confronti di Cechov è indiscutibile.La grande importanza del Giardino dei ciliegi risiede quindi nel fatto di essere “il testo” per antonomasia del teatro del Novecento: un secolo che forse, nonostante l’avvento del nuovo millennio, non si è ancora del tutto concluso. (Davide Cornacchione)

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